Quanti di voi hanno sentito parlare della bufala legata a Virginia Raggi, candidata del M5S a sindaco di Roma, e la sua presunta partecipazione al video “meno male che Silvio c’è”? Ne parlò L’Unità, ma quanti di voi hanno letto le giustificazioni del direttore della testata, Erasmo D’Angelis, pubblicata dal Corriere della Sera (articolo su NextQuotidiano):
Non avete pensato ad una rettifica quando la Raggi vi ha smentito?
«No, perché non è un’operazione politica, ma è giornalismo 2.0».Vuol dire che non si fanno più verifiche?
«Voglio dire che la comunicazione social punta molto sulla quantità e sulla velocità. Sono sicuro che anche il Corriere.it avrebbe caricato il video».Ma lei non crede che potevate controllare?
«La somiglianza è oggettiva e i social pieni di “smanettoni” che segnalano foto e video. Questo è accaduto».Ha richiamato il responsabile del suo sito?
«No, perché ha fatto bene a pubblicare quel video».Ha fatto bene a pubblicare una «bufala»?
«Il web ha modificato profondamente il giornalismo, sui siti e sui social gira di tutto».
Siamo arrivati al punto che la bufala serve e va giustificata? La colpa è del Web o del giornalista che non fa il suo lavoro di verifica e di corretta informazione nei confronti dei lettori?
Questo non è giornalismo! Come è possibile giustificare ciò e non richiamare il responsabile della bufala? Un giornalismo serio è composto da fatti verificati e da una corretta informazione nel rispetto dei lettori. Il giornalismo deve essere visto come un servizio per la società.
Il testo unico dei doveri del giornalista, pubblicato nel sito dell’Ordine, parla chiaro e riporta all’articolo 1 i principi e i doveri:
Articolo 1
Libertà d’informazione e di critica
L’attività del giornalista, attraverso qualunque strumento di comunicazione svolta, si ispira alla libertà di espressione sancita dalla Costituzione italiana ed è regolata dall’articolo 2 della legge n. 69 del 3 febbraio 1963:
«È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte e riparati gli eventuali errori. Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori».
Come può L’Unità, a questo punto, pretendere di scrivere articoli come questo su Grillo se poi giustificano la diffusione di una bufala senza averla verificata e sostenendo che si tratti di “giornalismo 2.0”?
A questo punto Grillo e i suoi, di fronte ad un’accusa di bufala, potrebbero rispondere come il direttore dell’Unità: “è giornalismo 2.0”.
Grillo non è un giornalista? Certo, non lo è, ma se il giornalista diffonde una bufala non è giustificabile se poi la difende.
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