Oltre 43 mila condivisioni Facebook per un articolo pubblicato il 25 agosto 2016 da Riscattonazionale.it dal titolo “Nel 1930 il terremoto delle Vulture: il governo Mussolini in 3 mesi costruì 3.746 case e ne riparò 5.190“, che tuttavia si tratta di un articolo spudoratamente copiato e incollato da Il Secolo XIX dal titolo “1930: in soli tre mesi il fascismo ricostruì il Vulture terremotato” (che supera, rispetto al “copione”, appena 9 mila condivisioni Facebook). Ci si potrebbe domandare quanti soldini siano stati guadagnati da Riscattonazionale.it con i banner pubblicitari usando il lavoro del giornalista del Secolo XIX, ma andiamo avanti.
Ecco le parti utili del testo (ho escluso la parte relativa alla storia di Crollalanza soffermandoci solo sulla parte relativa al terremoto):
In un momento così drammatico per l’Italia il premier Matteo Renzi polemizza con la ricostruzione dell’Aquila anziché concentrarsi esclusivamente sul sisma che ha colpito la zona di Amatrice. Vedremo cosa saprà fare lui. Ed è bene, in questo momento, ricordare altri terremoti, come quello del Vulture del luglio 1930, avvenuto sempre sulla dorsale appenninica a rischio, poco a Sud da quello del 24 agosto e di magnitudo superiore, 6,7, che causò anche un numero maggiore i vittime, 1404. Il terremoto prende il nome dal Monte Vulture alle cui pendici si verificarono ingenti danni, e colpì la Basilicata, la Campania e la Puglia, in particolare le province di Potenza, Matera, Benevento, Avellino e Foggia. Il terremoto interessò oltre 50 comuni di 7 province. Benito Mussolini, non appena ebbe notizia del disastro convocò il ministro dei Lavori Pubblici, Araldo di Crollalanza e gli affidò in toto l’opera di soccorso e ricostruzione. Araldo di Crollalanza,classe 1892, fu ministro dal 1930 al 1935. […]
Il sisma del Vulture causò 1404 morti
Tornando al terremoto del Vulture, di Crollalanza dispose in poche ore il trasferimento di tutti gli uffici del Genio Civile, del personale tecnico, nella zona, come previsto dal piano di intervento e dalle tabelle di mobilitazione che venivano periodicamente aggiornate. Tra l’altro nella stazione di Roma, su un binario morto, era sempre in sosta un treno speciale, completo di materiale di pronto intervento, munito di apparecchiature per demolizioni e quant’altro necessario per provvedere alle prime esigenze di soccorso e di assistenza alle popolazioni terremotate. E su quel treno si accamodarono il ministro stesso e tutto il personale necessario in direzione dell’epicentro della catastrofe. Per tutto il periodo della ricostruzione Araldo di Crollalanza non si allontanò mai, dormendo in una vettura del treno speciale che si spostava da una stazione all’altra per seguire direttamente le opere di ricostruzione. I lavori iniziarono immediatamente. Dopo aver assicurato gli attendamenti e la prima assistenza, furono incaricate numerose imprese edili che prontamente giunsero sul posto con tutta l’attrezzatura. Lavorando su schemi di progetti standard si poté dare inizio alla costruzione di casette a piano terreno di due o tre stanze anti-sismiche, e nello stesso tempo fu iniziata la riparazione di migliaia di abitazioni ristrutturabili, in modo da riconsegnarle ai sinistrati prima dell’arrivo dell’inverno. A soli tre mesi dal sisma, il 28 ottobre 1930, le prime case vennero consegnate alle popolazioni della Campania, della Lucania e della Puglia. Furono costruite 3.746 case e riparate 5.190 abitazioni. Mussolini ringraziò di Crollalanza così: «Lo Stato italiano La ringrazia non per aver ricostruito in pochi mesi perché era Suo preciso dovere, ma la ringrazia per aver fatto risparmiare all’erario 500 mila lire». Altri tempi, ma soprattutto altre tempre… Tra l’altro, le palazzine edificate in questo periodo resistettero ad un altro importante terremoto, quello dell’Irpinia, che colpì la stessa area 50 anni dopo.
I dati sono pubblicati anche nel libro “L’uomo della provvidenza“, 2016, di Filippo Giannini (a pagina 71), ma le stesse citate anche in un articolo del 2012 e dal Corriere.it citando sempre Giannini.
Wikipedia ci viene in aiuto riportando alcuni dati alla voce “Terremoto del Vulture del 1930“, la cui fonte di informazione è un link dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) che reputo molto interessante per i seguenti contenuti:
Il capo del governo, B.Mussolini, sollecitato dalle pressioni dei prefetti, preoccupati delle condizioni difficili e disagiate dei senzatetto e dalla lentezza con cui procedevano i lavori di costruzione delle “casette asismiche”, nel settembre 1930 annunciò la decisione di permettere la costruzione di 1.000 baracche. I lavori di ricostruzione in seguito a ciò si intensificarono e alla fine del mese di ottobre furono ultimate 961 casette, comprendenti 3.746 alloggi, per una spesa complessiva di circa 68 milioni di lire. La cifra risentì dell’enorme quantità dei materiali richiesti, dei costi dei trasporti in zone collinose e montane, della necessità di turnare e di alloggiare la mano d’opera non locale.
Il documento dell’INGV racconta nel dettaglio le difficoltà riscontrate all’epoca:
Per dare ricovero alle persone senza tetto, che furono 100.000 solo nella provincia di Avellino (17), fu deciso dal Governo di non costruire baracche di legno che, se soddisfacevano ai bisogni immediati, lasciavano insoluto il problema edilizio al quale lo stato doveva poi dare definitiva soluzione con nuove spese (18). Per non ripetere l’errore commesso a Messina e Reggio dove continuavano ad esistere i baraccamenti costruiti in seguito al terremoto del 1908, il Governo decise di costruire delle “casette asismiche” ritenendo di riuscire a completarle entro l’ottobre del 1930 (19). La realizzazione di tali casette fu voluta da Mussolini per evidenziare una completa rottura con la gestione politica dei terremoti precedenti. La decisione del governo fu accolta in un primo momento con preoccupazione dalle popolazioni che temevano di passare l’inverno sotto le tende, fu poi salutata con riconoscenza quando a pochi giorni dall’evento fu iniziata la costruzione di case in muratura. L’opera di ricostruzione si presentò però gravosa ed irta di difficoltà, bisognava prima del 28 ottobre assicurare alloggio permanente a 50.000 persone, costruendo alcune migliaia di alloggi, provvedendo a ripararne altre migliaia a cura dello stato o ad iniziativa dei privati. Difficoltà di ordine tecnico ed economico ne ritardarono però la realizzazione. La crisi economica, il rincaro nei prezzi dei materiali, la lentezza nei trasporti e la difficoltà di reperire mano d’opera specializzata in altre regioni, soprattutto a causa delle paghe basse, non permise la rapida costruzione prevista. Il 29 agosto a Melfi delle 30 casette progettate solo 8 saranno quasi terminate. Inoltre il loro numero previsto apparve troppo esiguo e il ministro di Crollalanza aumentò il totale di 130 alloggi.
Le tendopoli (20) caratterizzeranno quindi la vita dei terremotati, ma anche qui sorsero difficoltà o perchè le tende non arrivarono in tempo o perchè giunsero in numero insufficiente.
[…]
Nonostante la situazione precaria il 7 agosto il servizio di pronto soccorso venne smobilitato e tutta l’organizzazione dei servizi ritornò in mano dei prefetti con l’evidente proposito di far vedere all’opinione pubblica che si rispettavano con efficienza i termini fissati. La spesa complessiva per le opere di pronto soccorso ammontò a L.7.292.690.
Le condizioni di vita delle popolazioni terremotate si aggravarono con l’avvicinarsi dell’inverno e Mussolini agli inizi di settembre, sollecitato dalle pressioni dei prefetti, preoccupati dalle difficili condizioni di vita degli attendati, annunciò la decisione di permettere la costruzione di 1000 baracche.
Il primo settembre 1930 a Foggia tutti i prefetti e i dirigenti del Genio civile della zona terremotata riunitisi sotto la presidenza del ministro Araldo di Crollalanza affidarono al Genio civile il compito di provvedere al ricovero dei danneggiati con la costruzione di altre baracche oltre le mille ordinate dal duce. Inoltre i Provveditori alle Opere Pubbliche proposero la riutilizzazione delle baracche costruite dalle imprese nei cantieri (22), l’installazione di ricoveri smontabili in getto cementizio oltre all’istituzione di depositi di legname nei paesi dove la situazione si presentava più grave (23).
Queste pressioni portarono a risultati immediati, i lavori di ricostruzione si intensificarono e fu sospeso il riposo festivo nei comuni terremotati.
Ad operazione ultimata 961 casette, comprendenti 3746 alloggi, furono cedute gratuitamente ai comuni insieme alle aree relative, in forza del Decreto del 10 settembre 1931. Con il detto Decreto furono dettate le norme per l’assegnazione e la gestione di tale patrimonio edilizio, il cui reddito doveva servire ad integrare i bilanci comunali per opere occasionate dallo stesso terremoto. La spesa complessiva fu di L 68 milioni circa e risentì dell’enorme quantità di materiali richiesti, dei costosi trasporti in zone collinose e montane, della necessità di turnare e di alloggiare la mano d’opera non locale. Ad Aquilonia il valore effettivo di un vano costruito con norme antisismiche fu compreso fra le lire 15.000 e le lire 25.000, molto superiore a quello previsto dal decreto n. 1065 del 1930 compreso fra le lire 4.320 e le lire 7.200 (24).
Vi furono difficoltà, ritardi e pressioni, normale soprattutto se si voleva andare “avanti” rispetto alle tecniche usate in precedenza. Il numero 3.746 era riferito agli alloggi, non alle case asismiche che erano invece 961, accompagnate con baracche costruite per sopperire l’emergenza mentre i terremotati attendevano nelle tende. Qualcuno potrebbe dire “ma son sempre case”, ma negli articoli del Secolo XIX e dei precedenti si differenziano “case” e “alloggi”.
Ecco la descrizione delle casette:
Le “casette asismiche” erano così fatte: avevano uno zoccolo di calcestruzzo cementizio e, dove fu possibile, di pietrame e malta cementizia; comprendevano quattro alloggi costituiti da uno, due o più vani, dalla cucina e da accessori. L’intelaiatura della casetta era costituita da correnti di base, da montanti e da cordoli di coronamento aventi spessori uguali a quelli della muratura di mattoni di riempimento delle maglie o di tramezzatura. Gli stipiti e gli architravi delle porte e delle finestre erano costruiti in cemento armato. La copertura era a tetto non spingente, con padiglione in testata. L’orditura fu costituita da capriate con puntoni, catene, monaco e saette. Sulle capriate venne fissato la copertura di tavole e su queste il tegolato costituito da lastre di ardesia artificiale. Al di sotto delle capriate era fissata l’orditura dei soffitti in rete metallica. I pavimenti con sottostante vespaio e massetto erano rivestiti da mattonelle di cemento.
Ecco una foto dell’epoca:
Nel documento vi è presente il bilancio della ricostruzione, in data 1 agosto 1931, riportato dall’allora Ministro Araldo di Crollalanza:
Il 28 ottobre 1930 il bilancio della ricostruzione, secondo quanto scrisse il Ministro Araldo di Crollalanza sul “Corriere dell’Irpinia” dell’1 agosto 1931 (12), fu il seguente: fabbricati demoliti: 2.500, fabbricati puntellati: 4.818, macerie sgombrate 220.000 mc, alloggi costruiti dallo stato per i senzatetto: 3746, per un importo di oltre 60 milioni di lire, case riparate dallo stato con spesa corrispondente a quella dei puntellamenti o dai privati: circa 7.000.
Nella relazione dell’allora Ministro si parla di circa 7.000 tra quelli riparati dallo Stato e dai privati, informazione datata 1 agosto 1931, mentre nel documento dell’IGNV si riportano i dati ricavati dall’Archivio Centrale di Stato sulla situazione dell’opera di ricostruzione: le “riparazioni eseguite dai privati risultarono essere 1241, di cui 130 rurali, ed in corso di riparazione 1660, di cui 201 rurali“. Questi dati potrebbero mettere in dubbio anche i citati 5.190 alloggi (o case in questo caso, visto che sembra trovarci di fronte lo scambio tra i soggetti dei due numeri) riparati secondo quanto riportato negli articoli del 2012 sopra citati.
Il lancio dell’articolo è sicuramente evocativo, un modo per rievocare le opere compiute al tempo del fascismo proprio nel momento in cui il Paese è tenuto ad affrontarne un altro, probabilmente nel tentativo di fare paragoni ancor prima del tempo.
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