Il 10 settembre 2016 LiberoQuotidiano pubblica un articolo dal titolo “Papa Francesco umilia il Dalai Lama. Il gesto e il terribile sospetto: in Vaticano…“:
Papa Francesco si schiera coi cinesi e rifila un metaforico schiaffone al Dalai Lama. La più alta autorità tra i monaci buddhisti, infatti, non è stata invitata all’incontro interreligioso organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio per i 30 anni dall’incontro di Assisi, giornata voluta da Giovanni Paolo II. L’incontro del 18-20 settembre, dunque, senza il Dalai Lama, che sarà in Italia il 21 e 22 ottobre. In Vaticano corre un sospetto: si tratta del prezzo da pagare per la conciliazione con Pechino da parte della chiesa cattolica?
Non è la prima volta che un fatto del genere accade, ossia l’assenza del Dalai Lama ad incontri di quel genere. Era già accaduto nel 2014, quando lo stesso Dalai Lama giustificò il gesto:
Francesco non incontrerà il Dalai Lama, giunto ieri a Roma per il summit dei Nobel per la pace. La Sala Stampa vaticana ha confermato che il Papa invierà un messaggio per i partecipanti all’incontro, e ha spiegato che Bergoglio nutre sentimenti di «stima» nei confronti del leader buddhista tibetano, ma non ci saranno udienze né per lui né per gli altri premi Nobel.
Qual è il motivo della mancata udienza chiesta dal Dalai Lama? È stato lo stesso leader buddhista a rivelare quanto gli è stato risposto: «Non è possibile perché potrebbero crearsi degli inconvenienti». È evidente che i possibili «inconvenienti» riguardano il rapporto tra la Santa Sede e il governo di Pechino, in un momento molto delicato, anzi cruciale, che ha visto arrivare nelle ultime settimane dall’ex Celeste Impero segnali di dialogo e di apertura.
Il Dalai Lama è diventato, suo malgrado e al di là delle sue intenzioni, una figura al centro di una controversia politica. La diplomazia vaticana cerca, per quanto è possibile, di non compiere azioni che aumentino l’instabilità in situazioni già di per sé complicate. Né di prendere decisioni le cui conseguenze vengano pagate da altri, in questo caso, dai cattolici cinesi. Il Papa non è il leader di una «superpotenza» spirituale che si confronta con le superpotenze terrene, ma guarda alla realtà concreta della minoranza cristiana che vive in Cina. È dai tempi di Mao Tse-tung che i rapporti diplomatici tra Pechino e la Santa Sede sono interrotti. Da anni è in corso un dialogo, spesso complicato: il Vaticano cerca di spiegare che non ha mire politiche né vuole essere dipinto come un agente religioso che fiancheggia gli interessi occidentali. In gioco c’è la possibilità di arrivare a un accordo sulla nomina dei vescovi, che elimini per sempre la possibilità di ordinazioni che non siano in comunione con il vescovo di Roma.
Questo tener conto delle possibili conseguenze per le comunità locali viene difficilmente compreso da quanti rimproverano alla Santa Sede silenzi o compromessi, o magari chiedono con insistenza condanne nominali del «cattivo» di turno, talvolta strumentalizzando per i propri fini persino le sofferenze dei cristiani perseguitati.
Non va infine dimenticato che, dopo un primo incontro in forma strettamente privata nell’ottobre 2006, per altre due volte – nel 2007 e poi nel 2009 – in occasione di visite romane del Dalai Lama, anche Benedetto XVI preferì soprassedere all’udienza come ora ha fatto il suo successore.
Capite, quindi, la delicatezza della questione ben compresa dallo stesso Dalai Lama. Nessuno “schiaffo” da parte di Papa Francesco, ma il clickbait è forte.