Mi segnalano un articolo del 10 settembre 2016 pubblicato dal sito “Il Populista” dal titolo “Musulmana vuole vietare l’ingresso agli uomini. La parrucchiera si rifiuta di servirla e rischia 6 mesi di carcere“:
Il Paese scandinavo attraversato da nuove tensioni. La cliente, indossando l’hijab, pretendeva che fosse proibito l’ingresso agli uomini in base ai propri dettami religiosi che le impongono di non mostrare i capelli. In una realtà dove il parrucchiere unisex è la regola
Una parrucchiera norvegese rischia sei mesi di carcere per aver rifiutato di servire una cliente musulmana. La quale, con indosso il hjiab, chiedeva di vietare l’ingresso agli uomini. L’esercente ha spiegato così il suo gesto davanti al giudice, secondo quanto riporta Repubblica: “Ho rifiutato l’ingresso di quella donna perché quella donna velata voleva che io rifiutassi l’ingresso ai clienti maschi, in quanto per la sua religione non avrebbe potuto mostrare i capelli agli uomini”.
E occorre ricordare che nei paesi scandinavi non esistono parrucchieri per soli uomini. Merete Hodne è stata dunque trascinata in tribunale da Malika Bayan. La vicenda si è svolta nel comune di Bryne, nella Norvegia dei discorsi buonisti del re, ma anche delle ferree misure previste dal governo per arginare l’invasione.
Il problema de “Il Populista”, che ricordo essere il nuovo sito di “informazione” a stampo leghista di cui condirettore è Matteo Salvini, è l’aver riportato solo una parte della notizia, ossia quella utile al proprio elettorato.
“Il Populista” riprende la notizia da Repubblica, che invece riporta anche altro nell’articolo dell’otto settembre dal titolo “Norvegia, parrucchiera rifiuta cliente musulmana: ora rischia sei mesi di reclusione“:
La parrucchiera, che si chiama Merete Hodne, rischia adesso (secondo fonti dei media e della magistratura norvegesi) una condanna fino a sei mesi di reclusione. Ha rifiutato di accogliere e servire Malika Bayan. E davanti ai giudici ha seccamente difeso il suo comportamento: “Le ho detto di andare altrove, io non accolgo persone come lei…non vedo niente di male nel fatto che sia io a decidere chi entra nel mio negozio e chi no”. E poi l’imputata ha continuato: “Il male non è nella mia decisione, il male è l’islam, questa ideologia, e lo hijab è simbolo di questa ideologia così come la svastica era ed è simbolo del nazismo”.
Secondo i media norvegesi, la parrucchiera è militante o simpatizzante attiva di gruppi xenofobi e anti-islamici. L’imputata si difende: “Io ho rifiutato l’ingresso di quella donna perché quella donna velata voleva che io rifiutassi l’ingresso di clienti maschi (in Scandinavia e Centroeuropa i parrucchieri servono sempre sia donne sia uomini, il barbiere per soli uomini non esiste, ndr) in quanto secondo la sua religione ella non avrebbe potuto mostrare capelli agli uomini”.
Decisa la reazione della 24enne Malika Bayan: “Io sono solo entrata per chiedere quanto costava farsi fare delle mèches, che c’è di male?Mi sono sentita profondamente umiliata, mi sento sempre profondamente umiliata quando vengo trattata in questo modo qui, in Norvegia che considero il mio paese”. In realtà la parrucchiera avrebbe potuto risparmiarsi il procedimento giudiziario se avesse accettato di pagare la multa di 8000 corone (870 euro) comminatale dalle autorità dopo la denuncia del caso da parte della giovane musulmana. Il tribunale ha allora preso in esame il caso e dovrebbe decidere in giornata. La polizia che aveva raccolto la denuncia della 24enne musulmana ha chiesto un aumento della multa a 9600 corone e in caso di mancato pagamento una condanna ad almeno 19 giorni di prigione.
Come potete constatare, mancano le informazioni riguardanti la parrucchiera e le sue ideologie, inoltre viene esclusa categoricamente la versione della ragazza musulmana.
Sempre Repubblica, il 12 settembre, pubblica un aggiornamento: “Norvegia, parrucchiera rifiutò cliente musulmana: condannata a pagare multa di 1.000 euro“.
Una multa di circa mille euro: è questa la pena stabilita da una condanna dalla magistratura norvegese nei confronti di una parrucchiera che aveva respinto una cliente perché, essendo musulmana, indossava il velo. La cifra stabilita dai giudici è addirittura superiore a quanto la polizia aveva proposto dopo aver raccolto la denuncia della ragazza. Ma la parrucchiera anti-islamica, che secondo i media norvegesi è simpatizzante attiva di gruppi xenofobi, non ci sta e ha subito presentato ricorso in appello.
Ricordiamo i fatti. La parrucchiera, Merete Hodne, 47 anni, gestisce un salone nella cittadina di Bryne. Quando la giovane Malika Bayane, 26 anni, si è presentata da lei per chiedere il prezzo di alcuni servizi, Merete Hodne le ha subito detto che non accetta clienti musulmane e clienti col velo. “Il velo è simbolo d’un’ideologia pericolosa come la svastica è simbolo del nazismo”, le ha detto, cacciandola.
Invano Malika ha insistito cortesemente. Meglio mostrare sentimenti anti-islamici che guadagnare una cliente in più, ha evidentemente pensato Merete Hodne. “Cercati un altro parrucchiere, gente come te non fa per me”, ha detto.
[…]
“La Corte – hanno detto i giudici di Jaeren, nel cui tribunale si è svolto il dibattimento, spiegando le motivazioni della sentenza – non ha alcun dubbio: l’imputata ha agito intenzionalmente, scegliendo di discriminare la signora Bayan e di cacciarla dal negozio perché musulmana”. Tali discriminazioni e altre sono severamente punite dalle leggi norvegesi. Invano la difesa si è appellata al presunto diritto della parrucchiera di “esternare paura per un’ideologia che ritiene totalitaria”. Ora vedremo come andrà a finire in appello.
Possiamo consultare il testo della sentenza del 9 settembre 2016 dal sito Frihetspartiet.net.
Chi accusa chi
Andando a leggere i siti norvegesi, tra cui la testata Vg.no e l’emittente televisiva Tv2.no, sarebbe stata la parrucchiera a ritenere che dovendo servire la donna musulmana avrebbe dovuto cacciare via i clienti maschi, e non un’esplicita richiesta da parte di Malika.
Il fatto risale all’anno scorso, soltanto adesso se ne parla in Italia vista l’imminente condanna in primo grado. Durante il processo il problema della parrucchiera riguardava l’hijab, per lei un simbolo negativo e totalitario, e che ritenendo di conoscere la religione musulmana avrebbe dovuto evitare che i capelli della donna venissero visti da un uomo:
Kun religiøst
Hodne har ytret at hun ville måtte være diskriminerende overfor menn ved å slippe Bayan inn:
– Som de fleste vet får ikke en hijabkledd kvinne vise sitt hår til fremmede menn. Min salong er en herre- og damefrisørsalong. Jeg hadde sett på det som dypt diskriminerende om jeg måtte forvist menn fra salongen på grunn av en kvinne som ikke kunne vise sitt hår til dem.
Malika Bayan avviser dette:
– Jeg krevde ikke spesialbehandling fordi jeg hadde en hijab på meg. Jeg ventet bare å bli behandlet som alle andre. Dette handler om ren diskriminering på høyt nivå og har ingenting med politikk å gjøre, sier hun.
In pratica, una volta entrata la donna musulmana e al vedere il suo hijab, la parrucchiera ha subito pensato che avrebbe dovuto cacciare gli uomini, ma senza che tale richiesta venisse fatta da Malika, la quale aveva soltanto chiesto i prezzi per i servizi offerti.
La stessa parrucchiera, come riporta Tv2.no, sostiene che per lei sia del tutto innaturale servire una donna come Malika per il fatto che indossa un simbolo totalitario (l’hijab). Inoltre, ha ammesso di essere consapevole che in altri locali vengono usate apposite tende che permettono di prestare servizio alle donne musulmane, rispettando la loro credenza religiosa e senza cacciare alcun uomo dal locale, ma ribadendo categoricamente che il suo è un locale unisex dove sarebbe stato discriminatorio il caso in cui avrebbe dovuto cacciare un uomo per poter servire una donna musulmana:
Jeg har angst for det totalitære symbolet hijab som viser at jeg skal drepes, og for meg blir det helt unaturlig å gi god service i min situasjon. Det finnes salonger for hijabkledde der det er tilrettelagt med egne rom med forheng. Som de fleste vet får ikke en hijabkledd kvinne vise sitt hår til fremmede menn. Min salong er en herre og damefrisørsalong. Jeg hadde sett på det som dypt diskriminerende om jeg måtte forvist menn fra salongen på grunn av en kvinne som ikke kunne vise sitt hår til dem, sier Hodne.
L’accusa di provocazione
Malika è stata, inoltre, accusata (non ci è dato capire se in tribunale o all’esterno) di aver voluto volontariamente provocare la parrucchiera, siccome avrebbe dovuto conoscerla visto che era già nota grazie ai media per le sue attività politiche (attivista per i movimenti anti-islamici Pediga, Norwegian Defence League e Sian):
Tidligere har det kommet beskyldninger om at Bayan og venninnen oppsøkte salongen til Hodne fordi de kjente til hennes syn på Islam og ville provosere. Det er ikke første gang 47-åringen er i medias søkelys. Hodne har tidligere vært aktiv i innvandringskritiske organisasjoner som Sian, Pegida og Norwegian Defence League, og flere har hevdet at Bayan burde visst hvem hun var.
Trovo riscontro in merito dal sito Vepsen.no dove in un articolo del 2014 (dal titolo “Nazionalisti a Oslo“) viene riportata una foto della parrucchiera mentre interviene pubblicamente al microfono durante una manifestazione (nell’articolo cita il fatto che la parrucchiera gestisca anche un gruppo Facebook legato alla sua posizione politica):
La parrucchiera si è difesa dichiarandosi non razzista, ma di essere un’attivista politica contro l’islamizzazione dell’Europa:
Merete Hodne har i lengre tid gjort seg bemerket som aktiv for Stopp Islamiseringen av Norge og i Pegida, men har understreket at hun ikke er rasist, men politisk aktivist som kjemper mot muhammediseringen av Europa.
Il sito Document.no, da qualcuno ritenuto anti-islamico, riporta il 12 settembre che ci potrebbe essere un testimone che avrebbe visto Malika guidata da un uomo per andare a chiedere i prezzi nel locale di Hodne, con l’obiettivo di provocarla con la sua presenza.
In merito al sito “Il Populista”, in passato ero stato intervistato da Vice.com per analizzare il nuovo sito a stampo leghista. Trovate l’intervista in questo link.
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