Mi segnalano un articolo de L’Occidentale dal titolo “Ai tedeschi adesso tocca la “Sharia Police”“:
Un tribunale della Germania ha stabilito che sette islamici che avevano formato una ronda per far rispettare la Sharia per le strade di Wuppertal non interferiscono con le leggi tedesche. Semplicemente, esercitano il loro “diritto alla libertà di parola”. La sentenza, che legittima in modo chiaro la sharia nel Paese, rappresenta solo uno dei numerosi casi in cui i giudici tedeschi sono – consapevolmente o meno – promotori di un sistema giuridico parallelo di matrice islamica nel Paese.
La “sharia police” ha suscitato l’indignazione dei tedeschi fin dal 2014, quando i membri delle ronde distribuirono volantini gialli in cui si segnalava che il quartiere di Wuppertal Elberfeld era una “zona controllata”. I membri delle ronde invitavano musulmani, e non, a frequentare le moschee e ad astenersi da alcol, sigarette, droghe, gioco d’azzardo, musica, pornografia e prostituzione. I cosiddetti “vigilantes” sono salafiti, denominazione islamica che nella sua versione fondamentalista è prettamente anti-occidentale e mira a sostituire la democrazia in Germania (e non solo) con un governo islamico, basato proprio sulla sharia.
Il capo della polizia di Wuppertal ha detto che la “pseudo polizia” di Wuppertal rappresenta una minaccia per lo Stato di diritto: “il monopolio del potere spetta esclusivamente allo Stato. Atteggiamenti che intimidiscono, minaccinoa o provocano non saranno tollerati. Questi poliziotti della Sharia non sono legittimi. Chiamate il 110 [polizia] quando incontrate queste persone.”
Il procuratore di Wuppertal, Wolf-Tilman Baumert, ha dichiarato, invece, che gli uomini, che indossano giubbotti di colore arancione con le parole “Sharia polizia”, violano una legge che vieta di portare uniformi durante le manifestazioni pubbliche. La legge è stata usata fino ad oggi per impedire ai gruppi neo-nazisti di sfilare in pubblico. Secondo Baumert, i giubbotti sono illegali perché hanno un effetto “intimidatorio”. Il 21 novembre 2016, tuttavia, la Corte distrettuale di Wuppertal ha stabilito che i giubbotti, pur tecnicamente non uniformi, non costituiscono una minaccia.
Il protagonista di queste “ronde” è Sven Lau, tedesco convertitosi alla religione musulmana, noto alle autorità locali. Se ne parlò, appunto, nel 2014 anche in Italia tramite articoli come quelli di Repubblica dal titolo “Germania, “Donna copriti col velo”: le pattuglie islamiche della ‘sharia police’“.
Questo gruppo di musulmani cercava di dissuadere i musulmani e non a bere alcool, drogarsi, frequentare discoteche o prostitute, mentre alle donne invitavano a coprirsi, ma non vennero registrati casi di violenza. L’iniziativa venne condannata dalla comunità musulmana tedesca (“Zentralrat der Muslime in Deutschland“) ritenendola dannosa per tutti i musulmani.
Il gruppo venne sciolto e i ragazzi indagati per violazione della legge sulle associazioni, ma già nel 2015 (un anno dopo il caso) il tribunale tedesco li aveva assolti. La recente sentenza, di cui parlò anche la BBC il 22 novembre, confermava quella precedente che venne a sua volta ribaltata da un altro tribunale. Tutto può ancora succedere, come riporta anche il Guardian, la sentenza può essere ancora impugnata, ma l’accusa rimane sempre la stessa: l’uso inappropriato delle uniformi (dei giubbotti catarifrangenti con la scritta “Sharia police”).
Risulta fuoriluogo ritenere che i tribunali tedeschi siano promotori, consapevoli o meno, di “un sistema giuridico parallelo di matrice islamica nel Paese” se l’accusa nei confronti della “ronda” è un’altra. Certamente il predicatore musulmano in questione, Sven Lau, non è propriamente ben visto in Germania, ma bisogna sempre considerare i capi di imputazione e i reati contestati. Non sono stati denunciati per predicare la propria religione, non sono stati denunciati per intimidazioni o violenze, del resto di predicatori per strada ce ne sono un po’ ovunque e per diversi credo religiosi.
Sono a favore della libertà di religione, pur nel rispetto reciproco, ma devo ammettere che quando mi trovo dinanzi a predicatori per strada (di qualunque religione) mi infastidisce.
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