Un video dal titolo “La verità sui ‘migranti’“, pubblicato il 6 marzo 2017 dalla pagina Facebook di Luca Donadel e che fa da sponda al libro “Profugopoli” di Mario Giordano (2016), riporta alcuni dati interessanti da analizzare in merito al tema immigrazione. Partirò con la sintesi dell’articolo, seguita dall’analisi più completa.
Sintesi
Un video di circa 9 minuti in cui vengono esposti diversi punti legati al tema dell’immigrazione nel Mar Mediterraneo. Il ragazzo, che studia Comunicazione presso l’Università di Torino, è bravo a comunicare, non c’è dubbio su questo, però alcuni punti non mi quadrano. Innanzitutto il ragazzo sostiene di “offrire” agli utenti un servizio da “400 EURO” del sito Marine Traffic, mostrando il listino prezzi che però è in Dollari e non riporta affatto l’offerta “free trial” che tutti possono sfruttare gratuitamente per 14 giorni [1]. Cita la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare in merito alla questione “porto sicuro” che nel documento non viene citato, siccome riguarda un’altra convenzione e non riguarda per forza quello “più vicino“, evitando quindi di spiegare i perché l’Italia interviene nelle vicinanze della Libia. Concordo con l’uso inappropriato del nome “Canale di Sicilia” usato dai media, come concordo sul fatto che vi siano degli sporchi business nel mondo dell’accoglienza sui migranti, ma ritengo che il video non riporti nulla di nuovo (certe informazioni circolano da tempo e non sono mai state nascoste), che vi siano alcune spiegazioni superficiali e che di conseguenza manchino alcune informazioni utili a comprendere meglio il fenomeno ed evitare ulteriori chiavi di lettura (in alcuni casi probabilmente dannose).
Analisi
Luca Donadel si presenta a Il Populista come “studente di comunicazione all’Università di Torino“. Secondo il sito collegato alla Lega Nord avrebbe “smontato” la propaganda della presunta “invasione“. Il suo video “La verità sui migranti” ha riscosso parecchio successo in questi giorni, ma bisogna riportare qualche precisazione.
Lo studente riporta alcuni articoli dove vengono citati i nomi delle imbarcazioni che intervengono nel “Golfo di Sicilia” (così citato nei primi secondi del video – Mar di Sicilia?), partendo su sua ammissione da quello del 2 marzo 2017 di Agi.it intitolato “Migranti: Sos dal Canale di Sicilia, mille in salvo“.
Viene citato il servizio fornito dal sito Marine Traffic, utile a tracciare e visualizzare gli itinerari delle imbarcazioni. Luca cita in particolare uno dei servizi a pagamento offerti dal sito, ossia quello più costoso denominato “SAT”:
Per la modifica cifra di 400 EURO al mese permette di avere un tracciamento satellitare di tutte le imbarcazioni del mondo in tempo reale e in qualsiasi parte del globo. Mettetevi comodi, perché ho deciso di usare proprio questo potentissimo quanto costoso servizio ed oggi questo giro in barca ve lo offro io.
Luca sbaglia nel riportare il costo del servizio “SAT”, che in realtà non è di 400 EURO al mese, bensì 400 DOLLARI (selezionando la valuta europea notiamo che il costo è di 299 EURO al mese). Cito questo dato non per eccessiva pignoleria, ma perché visitando il listino prezzi direttamente su Marinetraffic.com troviamo un “free trial” di 14 giorni (per approfondire leggi la nota [1] in fondo all’articolo). Sarebbe interessante vedere una ricevuta del pagamento, io ho fatto l’iscrizione al “free trial” e potevo vedere gli itinerari (senza pagare un EURO).
In seguito fa riferimento ad un articolo del Corriere del Mezzogiorno del 23 febbraio 2017 dal titolo “Migranti, altri due sbarchi: ci sono 70 bambini senza genitori” dove vengono citate due imbarcazioni, la nave Peluso della Guardia Costiera e la Aquarius di Sos Mediterranee. È attraverso il tracciamento di queste due che lo studente svolge le sue indagini, ma prima di procedere bisogna considerare il testo del Corriere del Mezzogiorno, ripetuto anche in moltissime altre testate:
Arrivati a Pozzallo 337 , a bordo della nave Peluso della Guardia costiera, salvati nel Canale di Sicilia.
Siamo ben consapevoli che il Canale di Sicilia sia il tratto di mare del Mediterraneo tra la Sicilia e la Tunisia, purtroppo citato in maniera scorretta in merito alla notizia riportata dal Corriere del Mezzogiorno siccome il vero salvataggio è avvenuto nei pressi delle coste libiche. Non si tratta di una bufala, ma disinformazione (comprendo che molti ancora non capiscano la differenza tra i due termini, purtroppo anche Luca dice “bufala“). Inoltre, che le operazioni di soccorso avvenissero oltre ai limiti geografici citati dai media italiani non è affatto una novità, tanto che il tema fu trattato anche in un articolo di Limes dello scorso 10 agosto 2016 (“Il canale di Sicilia e le Sar“), spiegandone i motivi, e un reportage fotografico dal titolo “Migranti, le foto a bordo di nave Aquarius nella zona SAR Libia a Nord-Est da Tripoli” pubblicato su Rainews l’otto ottobre 2016. La classica “scoperta dell’acqua calda“.
Nel video viene citata la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare, sostenendo che le persone salvate in acque internazionali dovrebbero essere portate nel porto sicuro più vicino che, secondo Luca, sarebbe quello di Zarsis in Tunisia (come citato in un articolo del 2016 del sito Gefira.org):
Luca: “Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, il trattato firmato e ratificato anche dalla Tunisia, le persone salvate in acque internazionali vanno portate nel porto sicuro più vicino che in questo caso è quello di Zarsis in Tunisia, che dista 90 miglia nautiche dalla zona in cui avviene la quasi totalità dei salvataggi“
La Convenzione non riporta ciò, ma lo fa quella di Amburgo del 1979 (“International Convention on Maritime Search and Rescue (SAR)“) e la Risoluzione MSC.167 (78) (adottata nel maggio 2004 dal Comitato Marittimo per la Sicurezza insieme agli emendamenti SAR e SOLAS) che non citano “nel porto sicuro più vicino“. Il tema è più complesso di quanto si pretenda spiegare nel video, dove vi sono questioni politiche tra i diversi paesi protagonisti in merito alle operazioni di soccorso dove ingiustamente l’Italia si prende il carico umanitario (per approfondire leggi la nota [2] in fondo all’articolo).
Vengono citate le operazioni Mare Nostrum e Triton di Frontex, ma vi è una che non viene citata affatto e che viene spiegata nell’articolo dei colleghi di Butac, l’Operazione Sophia avviata nell’aprile 2015 che segue quella di Triton e coinvolge diverse nazioni europee:
Nell’ambito di Operazione Sophia ad esempio i nostri uomini stanno addestrando la marina libica a intervenire contro gli scafisti in operazioni sia d’arresto che di soccorso.
Il video fornisce una chiave di lettura secondo cui la colpa dell’elevato numero di morti dovrebbe essere data alle operazioni citate (nota: tranne Sophia). Una lettura troppo “semplice“, che non considera tutto il “contorno” (poniamo anche la seconda guerra civile libica del 2014, con gli altri “contorni” riportati da Wikipedia che a Luca piace citare) non si può ritenere con assoluta certezza che tali operazioni abbiano da sole contribuito all’aumento dei migranti (consiglio la lettura dell’articolo dell’Unhcr). Bisogna dire, inoltre, che nel video viene mostrato uno screenshot da Wikipedia per sostenere che con l’inizio delle operazioni sarebbero aumentati i morti, ma quel testo riguarda solo la voce “Operazione Triton” che ovviamente ha contribuito all’aumento siccome era ben diversa dall’operazione Mare Nostrum, ma nel video ciò non viene spiegato:
Dall’inizio dell’operazione, il numero di persone annegate durante l’attraversamento del Mediterraneo è aumentato: nell’aprile del 2015 sono avvenuti diversi naufragi di migranti dalla Libia causando presumibilmente oltre 700 morti. Al fine di limitare il dramma profughi, l’Unione Europea ha pensato di estendere l’area di intervento dell’operazione.
L’operazione Triton non era un’operazione di soccorso, ma di sorveglianza delle coste italiane in un raggio di 30 miglia, che poi venne ampliato. Inoltre, l’aumento degli sbarchi avvenne prima dell’operazione Mare Nostrum avviata ad ottobre 2013 (per approfondire leggi la nota [3] in fondo all’articolo).
Il video non considera i numeri delle persone salvate, ma soltanto il numero dei morti. Fornire soltanto un dato non aiuta a comprendere i numeri dell’immigrazione attraverso il Mar Mediterraneo e le proporzioni, infatti se i morti son aumentati vertiginosamente sono aumentati anche gli sbarcati (salvati) in Italia (per approfondire leggi la nota [3] in fondo all’articolo). Su questo punto concordo con i colleghi di Butac:
Sapere che ci sono uomini, donne, bambini, che stanno annegando in mare e non fare nulla per impedirlo, è come essere complici nella loro morte. Mare Nostrum in un anno di attività ha prestato soccorso e salvato oltre 150mila immigrati. 150mila persone che potevano essere cibo per pesci.
Capite l’importanza della questione? Capite vero che in mezzo a quelle persone ci sono dei disperati senza più una casa dove stare? Famiglie, minorenni, persone come noi – persone che hanno diritto ad essere salvate, o perlomeno meritano che ci si provi.
Se durante Mare Nostrum la Marina italiana è andata così vicino alla costa libica per salvare qualcuno, io non sono scandalizzato.
Inoltre, bisognerebbe citare i recenti accordi tra Gentiloni e il Premier libico Serraj sul fronte immigrazione e il contrasto del traffico degli esseri umani di inizio febbraio (testo):
«Deve essere chiaro che il memorandum che abbiamo firmato riguarda il nostro impegno per rafforzare le istituzioni libiche nel contrasto all’immigrazione clandestina. Parliamo ad esempio di polizia di frontiera», ha spiegato il premier italiano. L’accordo, ha spiegato Serraj, verte «sulla protezione dei confini sud» della Libia da dove passano migliaia di migranti, sul «sostegno alla Guardia costiera libica per il contrasto al fenomeno e per garantire il soccorso» e anche su modalità per i «rimpatri umanitari» dei migranti clandestini.
Accordi con Serraj da prendere con le pinze, vista la spaccatura del paese a livello governativo.
Alla fine del video Luca cita la corretta destinazione dei famosi “35 euro” (che non vanno ai migranti, ma chi gestisce la loro accoglienza). Inoltre, spiega come mai ci siano proteste degli stessi migranti sul cibo “che piacciono tanto ai partiti di destra”:
La causa è che spesso viene dato mangiare loro le peggio schifezze ammassate in spazi non idonei e questo perché meno si spende per loro più margine entra in tasca alla cooperativa di turno.
Buongiorno, ma sarebbe importante specificare che non bisogna fare di tutta l’erba un fascio.
Nel video sostiene:
Torniamo alla domanda principale: perché? Perché continuiamo ad andarli a prendere? Abbiamo visto che non salviamo più vite, i rifugiati sono una minima percentuale, tutto questo ha dei costi sociali altissimi, quindi perché? E vedete, la cosa triste è che la risposta è sotto gli occhi di tutti, non c’è nessun complotto, nessun potere forte, semplicemente c’è un business. Un business di cui sappiamo nomi e cognomi delle persone implicate, molti di queste sono raccolte nel libro di Mario Giordano Profugopoli.
[…]
Io lavoro nella comunicazione e so che la pubblicità si fa quando gli affari vanno a gonfie vele. Vi siete mai chiesti perché in televisione, giornali, mainstream media è un continuo martellamento di film, documentari e spettacolarizzazione del fenomeno migranti? Perché vedete, come ben spiegato nel libro, i famosi “35 euro” non vanno direttamente ai profughi, ma alle cooperative.
Non vi è alcun complotto nell’immigrazione di cui stiamo parlando (es. “invasione programmata“, “piani segreti dei poteri forti“, “sostituzione etnica” e altro ancora), ma nel video viene inviato (volontariamente o involontariamente dal suo autore) un messaggio al pubblico: “i media comunicato qualcosa che fa comodo al business delle cooperative“. Se non era quello che intendeva Luca forse era meglio spiegarlo con altre parole.
Insomma, diverse chiavi di lettura contestabili, come quella che potrebbe essere fatta nei confronti della Guardia Costiera: gli utenti potrebbero pensare che sarebbe immischiata nel business (sarebbe meglio che Luca specificasse meglio questa parte, a meno che lui non sostenga tale tesi e ne abbia l’assoluta certezza).
Infine, nel video invita ad acquistare il libro di Mario Giordano rimandando ad un link su Amazon con il tag di affiliazione “lucadofficialmig-21“:
La verità sui “MIGRANTI”
Link per il libro Profugopoli: http://amzn.to/2mbLs17
Liberissimo di farlo, per carità. Sarà utile per la raccolta fondi (che annuncia verso la fine del video) per monitorare il traffico nel Mediterraneo.
[1] Il costoso servizio “offerto” da Luca
Nel video di Luca possiamo vedere i prezzi del servizio fornito dal sito Marine Traffic:
Visitando quest’area noto che c’è qualcosa in più rispetto a quanto visualizzato nel video:
Aggiunti di recente? Assolutamente no, perché dai salvataggi di Web.Archive del 5 marzo (giorno prima della pubblicazione del video) e del 5 gennaio (due mesi prima) i “free trial” erano già presenti.
Procedendo con la registrazione al servizio “Premium” da 15 euro al mese (lasciando da parte il costosissimo servizio satellitare specificato nel video di Luca), ecco che mi vengono richiesti i dati per la scelta del metodo di pagamento utile al servizio per evitare operazioni truffaldine (multipli “free trial”). Di seguito gli screenshot:
Why do you need my Credit Card information?
We ask for your Credit Card details in order to allow your subscription to continue after your free trial, should you choose not to cancel it. This also allows us to reduce fraud and prevent multiple free trials for one person.
Ho scelto il servizio “Premium” e non quello SAT per un semplice motivo. Basta e avanza, infatti, per tracciare sia la nave Peluso della Guardia Costiera che la Aquarius di Sos Mediterranee dal 27 febbraio 2017.
Perché il 27 febbraio 2017 e non il tragitto del 23 febbraio 2017 citato nel video di Luca? Per il semplice motivo che il servizio “Premium” offre un periodo massimo di consultazione dello storico degli itinerari e siccome il video è stato pubblicato il 6 marzo si potevano fare le ricerche sulle due imbarcazioni proprio per quella data del mese precedente.
In sostanza, ecco cosa potrebbe essere successo:
- nel video sarebbe stato omesso il servizio “free trial” per sostenere un'”offerta” da parte di Luca agli utenti nel fornire il costosissimo servizio evocando, sul piano comunicativo, una sorta di “oneroso ed eroico sacrificio“;
- Luca in qualche modo non visualizzò il servizio “free trial” e avrebbe speso i “400 EURO al mese” che in verità erano 299 (tradotto: “che sfortuna!!!“).
Dovrebbe pubblicare la ricevuta del servizio pagato, sarebbe utile ai fini della veridicità di quanto da lui dichiarato nel video, ossia aver pagato il servizio “SAT” per un mese.
[2] Il concetto di “porto sicuro”
Nel testo della Convenzione non viene citato o definito il concetto di “porto sicuro” (PDF), mentre sul soccorso vi è l’articolo 98 che ne impone l’obbligo:
Articolo 98
Obbligo di prestare soccorso1. Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri:
a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo;
b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa;
c) presti soccorso, in caso di abbordo, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata, e qual’è il porto più vicino presso cui farà scalo.
2. Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali.
Il testo rimanda, infatti, ad ulteriori accordi non citati nella Convenzione.
Il concetto di “place of safety” (“porto sicuro”) è spiegato nel documento “Legal Brief on International Law and Rescue at Sea” al punto 6:
6 Place of safety
A place of safety (as referred to in the Annex to the 1979 SAR Convention, paragraph 1.3.2) is a location where rescue operations are considered to terminate. It is also a place where the survivors. safety of life is no longer threatened and where their basic human needs (such as food, shelter and medical needs) can be met. Further, it is a place from which transportation arrangements can be made for the survivors. next or final destination.Governments should co-operate with each other with regard to providing suitable places of safety for survivors after considering relevant factors and risks.
The need to avoid disembarkation in territories where the lives and freedoms of those alleging a well-founded fear of persecution would be threatened is a consideration in the case of asylum-seekers and refugees recovered at sea.
È infatti la Convenzione SAR del 1979 a citare il concetto di “porto sicuro“, dove risulta firmataria anche la Tunisia. Perché non vengono portati in Tunisia i migranti salvati? A rigor di logica dovrebbe essere quello il “porto sicuro” più vicino, ma bisogna fare un passo indietro citando la Risoluzione MSC.167 (78) adottata nel maggio 2004 (PDF – PDF 2):
– il governo responsabile per la regione SAR in cui sono stati recuperati i sopravvissuti è responsabile di fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornito. (para. 2.5)
A spiegarlo nel dettaglio è l’articolo “Tutela dei diritti dei migranti in mare” di Bernardis Marilisa:
Al fine di fornire una guida alle autorità di governo ed ai comandanti che si trovano a metter in pratica questi emendamenti, sono state elaborate delle Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare . Esse contengono le seguenti disposizioni: il governo responsabile per la regione SAR in cui sono stati recuperati i sopravvissuti è responsabile di fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornito. Un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse, e dove: la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale. Sebbene una nave che presta assistenza possa costituire temporaneamente un luogo sicuro, essa dovrebbe essere sollevata da tale responsabilità non appena possano essere intraprese soluzioni alternative. Lo sbarco di richiedenti asilo e rifugiati recuperati in mare, in territori nei quali la loro vita e la loro libertà sarebbero minacciate, dovrebbe essere evitato.
Il SAR in questione sarebbe quello libico, non quello tunisino, ma perché l’Italia ci opera? Per un ulteriore approfondimento andrebbe letto l’articolo pubblicato su Limesonline.com il 10 agosto 2016:
“Se in una prima fase i barconi dei migranti si spingevano fin sotto la pur vicina Lampedusa, oggi non è infrequente che le nostre autorità vadano a recuperare barche o gommoni carichi di profughi appena fuori le acque territoriali libiche. Con grande risparmio di carburante per i trafficanti che possono così abbattere ulteriormente i costi di un già lucrativo business.
[…]
Questa situazione si è generata in assenza di una strategia complessiva (sia per il destino dei migranti una volta sbarcati sia per il loro recupero), anche a seguito del vuoto di autorità creatosi in Libia. Il soccorso in mare è infatti regolato, in maniera operativa, da una convenzione firmata ad Amburgo nel 1979. Questa convenzione stabilisce delle zone, cosiddette Sar (Search and Rescue), fissate di comune accordo.
L’area Sar italiana si estende poco a sud della nostra penisola, sovrapponendosi in parte a quella maltese. Benché l’area Sar non influenzi minimamente la sovranità o la giurisdizione degli Stati, Malta ne ha fatto spesso una questione di prestigio, dichiarandosi responsabile per una zona che è estesa 750 volte il suo territorio. Salvo poi tirarsi indietro nell’attività da svolgere nella sua area di competenza lasciando il cerino nelle mani delle autorità italiane. Che hanno finito per tenerselo.
Con il venir meno di ogni autorità effettiva sul territorio libico abbiamo esteso la nostra competenza anche all’area Sar libica decidendo (ma la decisione è stata una necessaria reazione operativa più che una strategia consapevole) di giocare il ruolo di «gigante buono» nell’area. Finché ne avremo i mezzi.
Ciò che però mostra contraddittorietà nelle interpretazioni, e svela la debolezza dovuta alla mancanza di strategia, sono le piccole differenze di gestione in zona Sar maltese e in zona Sar libica, incluse le destinazioni di sbarco dei profughi tratti in salvo, i cosiddetti «porti sicuri».
[…] Il «porto sicuro» per chi viene tratto in salvo in zona Sar maltese, però, non coincide con il porto della Valletta né con altri in territorio maltese, come dovrebbe essere secondo il diritto convenzionale. Si è deciso infatti che il porto sicuro fosse identificato con quello più vicino, vale a dire quello di Lampedusa. Ergo, migranti soccorsi in area Sar maltese vengono sbarcati in Italia.
Nella zona Sar libica accade qualcosa di diverso. Il porto sicuro verso cui vengono portati i rifugiati non è né un porto del paese Sar né il porto più vicino. Ma immancabilmente un porto italiano. E ciò anche nel caso in cui a trarre in salvo i migranti sia una nave battente bandiera straniera. La questione è ancora (per poco) fluida e tutto si gioca sulla bandiera della nave di primo soccorso, sulla definizione di porto sicuro e su quella della precisa responsabilità Sar.”
La situazione è riscontrabile anche da un documento del Consiglio Nazionale Forense del 23 maggio 2014:
La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare («Convenzione di Montego Bay») del 1982 statuisce, nelle parti che qui rilevano, che nell’alto mare le navi sono sottoposte alla giurisdizione esclusiva ed al controllo su questioni di carattere amministrativo, tecnico e sociale dello Stato di cui battono la bandiera (artt. 92 e 94).
In virtù delle disposizioni citate, è chiaro quindi che una nave che navighi in alto mare è soggetta alla giurisdizione esclusiva dello Stato di cui batte bandiera.
[…]
Nel caso oggetto del presente contributo, può concludersi senza dubbio che la competenza a garantire i diritti umani si è radicata in capo all’Italia, posto che, secondo il diritto internazionale in materia di rifugiati, il criterio decisivo di cui tenere conto per stabilire la responsabilità di uno Stato non è se la persona interessata dal respingimento si trovi nel territorio dello Stato, bensì se essa si trovi sottoposta al controllo effettivo e all’autorità di esso.
Un articolo di Repubblica del 2015 riporta alcune informazioni interessanti:
LA SAR DI COMPETENZA
Loro continuano a fare quello che hanno sempre fatto, Triton o non Triton: sulle spiagge libiche inzeppano un gommone di disperati a cui danno un satellitare e un numero di telefono da chiamare, quello della Guardia Costiera. Li costringono a partire anche se il mare è forza 8 e ci sono onde alte 9 metri, come è successo per i gommoni dell’ultima strage. Ora, in quel tratto di Mediterraneo, Frontex (agenzia europea che gestisce Triton), le convenzioni nautiche e gli accordi tracciano linee che dividono il mare in zone di soccorso: le Sar, aree Search and Rescue in capo a ogni Stato. Ma si sono rivelate inutili. Tocca alla capitaneria o alle altre forze di polizia italiane a intervenire. Un esempio? 8 febbraio: il primo gommone con 104 migranti (di cui poi 29 morti di freddo) intercettato da due motovedette italiane a 58 miglia a nord di Tripoli, il secondo (quello semi-affondato con sole 2 persone a bordo delle 105 partite) avvistato dall’aereo “Manta 10-03” della Guardia Costiera a 71 miglia a nord est da Tripoli, il terzo (con 7 superstiti) soccorso, oltre che da un mercantile di passaggio, da due motovedette della capitaneria più o meno alla stessa distanza. Fuori dalla Sar di nostra competenza.
I DISPOSITIVI NAVALI
La verità è che, con Malta senza risorse economiche e la Libia in mano alle katibe, bande tra le quali alcune «a forte connotazione jihadista», come sostiene un report della nostra intelligence, chi si prende l’onere dei soccorsi è sempre e solo l’Italia. Col risultato che Triton, entrata a regime il 1 gennaio 2015, finisce per ribaltare l’effetto cui puntava il ministro dell’Interno Alfano, ovvero responsabilizzare gli altri paesi Ue nel controllo del confine meridionale dell’Europa. «Triton non è all’altezza, l’Europa ha bisogno di un sistema di ricerca e salvataggio efficace», dice il commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muiznieks.
Interessante anche l’articolo del novembre 2016 su Thebottomup.it dal titolo “Mare Nostrum, Triton, Operazione Sophia: la responsabilità delle politiche europee sui naufragi“:
Mentre Mare Nostrum si spingeva fino a ridosso delle coste libiche, le navi di Triton restavano nelle 30 miglia marine dalle coste italiane. Peccato che la maggior parte delle bagnarole messe in mare dagli scafisti non possano percorrere più di 40 miglia prima di andare in pezzi, o finire la benzina. Restando a inabissarsi ben lontane dalla zona pattugliata dalle navi dell’agenzia europea. Di conseguenza il compito di soccorrere queste barche è stato lasciato ai mercantili che transitavano nella zona, obbligati dal diritto del mare ad aiutare le barche in difficoltà. La Guardia Costiera italiana ha cercato disperatamente di coordinare i soccorsi. Le navi delle organizzazioni umanitarie hanno fatto il possibile, prendendosi un compito immane che gli stati non volevano accollarsi. Tra disorganizzazione, mancanza di competenza e scarsi mezzi, spesso i soccorsi hanno finito per far ribaltare le barche che cercavano di aiutare. Per poi dover assistere alla morte delle persone che volevano salvare.
Questo è il bilancio di tre anni di morti in mare. Molti dei naufragi del 2014 e del 2015 sarebbero stati evitati da un’operazione come Mare Nostrum. Molti di quei naufragi non sono state sfortunate tragedie, ma una scelta sia italiana che europea.
[…]
Il problema non si ferma alla dubbia collaborazione con un’autorità che risponde ad un governo riconosciuto solo da parte del paese, in una situazione di violenza generalizzata, costanti abusi di potere e disordine di ogni tipo. Il problema maggiore è che le navi dei migranti non vogliono essere salvate dalla guardia costiera libica. Le navi dei migranti non vogliono essere riportate in Libia. Per lasciare la Libia, per lasciare il continente africano, sono disposti a rischiare la vita. La prospettiva di essere intercettati e soccorsi da una motovedetta libica, per poi essere riportati in un centro di detenzione a Tripoli, è quanto di peggiore possano immaginare. La Libia non è un paese sicuro, non è un paese nel quale le persone possano rimanere senza che i loro diritti più fondamentali vengano calpestati e negati. Tutti abbiamo sentito degli orrori che si compiono nelle prigioni e nelle strade di Tripoli e Sabrata. Quale senso c’è nell’impedire che una persona affoghi se poi viene rispedita in un luogo dove verrà torturata e forse uccisa?
Ci troviamo di fronte a grossi problemi soprattutto a livello politico tra diversi paesi (il caso Malta, solo per citare un esempio, che non possiede nemmeno i mezzi adeguati), soprattutto di fronte ad uno come la Libia (praticamente spaccato in due) i cui responsabili non sarebbero propriamente adeguati (come ho raccontato in un articolo precedente).
[3] I grafici a confronto: morti e sbarcati
C’è un’evidente differenza tra le operazioni Mare Nostrum e quella iniziale di Triton, come riportato dall’articolo de Ilpost.it del 20 aprile 2015 (citato nell’articolo dei colleghi di Butac):
Alla fine di agosto del 2014, proprio a causa dell’aumento dei flussi, Frontex aveva promesso di sostenere l’operazione italiana “Mare Nostrum” con un’operazione definita all’inizio “Frontex Plus” e che avrebbe garantito anche la lotta alle mafie sulle coste africane e agli scafisti. “Mare Nostrum” e “Frontex Plus” hanno poi dato vita all’operazione europea “Triton”, che è partita il 1 novembre 2014.
“Triton” ha sostituito le missioni attive nel Mediterraneo: sia le altre di Frontex sia quella nazionale di “Mare Nostrum”. A “Triton” partecipano 29 paesi, ed è stata finanziata dall’Unione europea con 2,9 milioni di euro al mese: circa due terzi in meno di quanti erano destinati a Mare Nostrum. A differenza di “Mare Nostrum”, inoltre, “Triton” prevede il controllo delle acque internazionali solamente fino a 30 miglia dalle coste italiane: il suo scopo principale è il controllo della frontiera e non il soccorso.
Lo scorso 10 ottobre, durante un’intervista alla trasmissione di Rai 2 “Virus”, Matteo Renzi aveva detto: «L’ha spiegato molto bene il ministro Alfano che l’operazione Mare Nostrum viene sostituita da un intervento complessivo dell’Unione Europea». In realtà, come aveva subito precisato il direttore esecutivo di Frontex, Gil Arias Fernandez, “Mare Nostrum” e “Triton” non sono la stessa cosa: l’operazione “Triton” ha come scopo principale il controllo della frontiera e non la «ricerca e il soccorso», che erano invece al centro dell’operazione italiana. In seguito alle morti di questi giorni, diversi rappresentanti del Consiglio d’Europa, politici e varie organizzazioni sono tornati a dire che «Triton non è all’altezza».
Ecco i raggi di azione delle due operazioni:
Ecco il grafico dei morti durante i tentativi di attraversata fornito da Luca:
Ecco il grafico relativo agli sbarcati (salvi) in Italia (dati 2015 e 2016):
Ecco un breve confronto:
- nel 2011 i morti sarebbero 2300 a fronte di 62692 sbarcati;
- nel 2012 i morti sarebbero 500 a fronte di 13267 sbarcati;
- nel 2013 i morti sarebbero 700 a fronte di 42925 sbarcati (ad ottobre 2013 partì l’operazione Mare Nostrum);
- nel 2014 i morti sarebbero 3419 a fronte di 170100 sbarcati (a fine ottobre si conclude l’operazione Mare Nostrum, mentre il primo novembre inizia l’operazione Triton);
- nel 2015 i morti sarebbero 3771 a fronte di 153843 sbarcati (ad aprile inizia dell’operazione Sophia);
- nel 2016 i morti sarebbero 5098 a fronte di 181436 sbarcati.
È inevitabile che all’aumentare dei tentativi di attraversata vi sia un aumento sia del numero dei morti che del numero dei sopravvissuti. Le operazioni di soccorso hanno avuto, tutto sommato, un esito positivo.
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