Il tema della settimana è senz’altro quello relativo alla presentazione da parte del ministro Minniti del “Red Button” per segnalare le “Fake News” direttamente dal portale della Polizia Postale. Pur ponendo come premessa che ho una forte stima nei confronti delle nostre forze dell’ordine, che collabori con loro quando richiesto (gratuitamente) e per puro spirito civico, che abbia conosciuto con piacere e che stimi persone come Marcovalerio Cervellini e il capo della Polizia Postale Nunzia Ciardi, non posso esimermi dall’analizzare e porre le mie critiche su quanto accaduto.
L’iniziativa ha destato preoccupazioni e critiche da parte di molti, anche io mi ero inizialmente agitato. Preoccupazioni che condivido nell’intervento di Arianna Ciccone:
Non è compito dello Stato stabilire la verità. Quello lo fanno nei regimi autoritari. E se non siamo di fronte a un attacco diretto alla libertà di espressione, siamo comunque a piccole gocce di “veleno” instillate nelle vene della nostra democrazia.
[…]
Il messaggio che passa è: la polizia depositaria della verità. La polizia non si occupa di vero e di falso. Non in una democrazia. Punto.
Ricordo che al tavolo di lavoro che ho tenuto presso la Camera dei Deputati nel 2017 era risultata ben chiara la posizione di tutti i presenti, tra i quali appunto la Polizia Postale reppresentata da Nunzia Ciardi: stare ben alla larga dall’istituzione di una sorta di “Ministero della Verità“. Continuo a sostenere questa posizione, ci mancherebbe e spero valga ancora per tutti! [Nota: queste posizioni sono state spiegate dai diretti interessati durante la conferenza stampa, trovate su AGI il video.]
Le “Fake News”? Termine abusato
Non sono mancate le polemiche in merito a questa iniziativa, ma prima di andare avanti volevo riproporre il mio tweet del 29 novembre 2017 per illustrarvi un ragionamento utile alla lettura dell’intero articolo:
Provo un senso di nausea leggendo ciò che è stato scritto da testate, siti, giornalisti, politici, esperti, utenti e via dicendo sulla questione Fake News. Tirano acqua al proprio mulino, alcuni attraverso ulteriori Fake News. Tutti vogliono vincere, ma stanno perdendo tutti.
Giovedì scorso durante il mio intervento a Sky TG24 avevamo discusso del termine “Fake News” che viene di fatto completamente abusato. Anche dopo la pericolosa buffonata di Donald Trump confermo quanto tale termine sia una semplificazione stupida, inutile e in parte dannosa (ehy, nel titolo di questo articolo purtroppo lo devo mettere siccome il “bottone rosso” lo riporta). Preferisco tornare a parlare di “bufala“, di “disinformazione“, di “allarmismo” e tutte quelle categorie che avevo scelto di utilizzare per etichettare singolarmente i casi analizzati quando ebbi in gestione “Bufale net“. Pensate che prima veniva usato solo il termine “bufala” con molta leggerezza, proprio come fanno tutti oggi con “Fake News“.
Le “Fake News” secondo la Polizia
Ci sono stati degli errori di comunicazione enormi, così come azioni che ne hanno minato la credibilità della proposta. Nel “protocollo operativo” di questa iniziativa, pubblicato il 18 gennaio (PDF), leggiamo:
Il Progetto muove dalla più recente sensibilità sviluppatasi attorno al fenomeno delle fake news, nell’ambito di un generale dibattito che sta coinvolgendo, per la individuazione di efficaci risposte, le istituzioni di diversi Paesi e della stessa Unione Europea, oltre ai gestori delle principali piattaforme social livello mondiale.
Evidente la necessità di arginare, con specifico riguardo al corrente periodo di competizione elettorale, l’operato di quanti, al solo scopo di condizionare l’opinione pubblica, orientandone tendenziosamente il pensiero e le scelte, elaborano e rendono virali notizie destituite di ogni fondamento, relative a fatti od argomenti di pubblico interesse.
Lungi dal costituire espressione degli imprescindibili valori costituzionali della libertà di pensiero e del diritto di cronaca, la diffusione di fake news in campagna elettorale si pone, purtroppo, in un’ottica radicalmente opposta a quella di un legittimo esercizio di democrazia: l’obiettivo è infatti la violazione della libertà personale dei cittadini, l’induzione sistematica di falsi convincimenti, individuali e collettivi, e la macroscopica alterazione del sereno dispiegarsi del confronto democratico; il tutto, per favorire interessi particolari – non sempre leciti, chiari o riconoscibili – da parte di singoli individui o gruppi di pressione.
Il protocollo ha diversi punti critici, il primo tra tutti l’essere troppo generico e interpretativo. Ad esempio, quale sia l’operato da arginare perché condiziona l’opinione pubblica non è chiaro.
In un articolo del 19 gennaio su AGI a firma Riccardo Luna si poneva il quesito “che cos’è una fake news” e cosa possa condizionare l’opinione pubblica citando alcuni esempi (iniziando da quello di cui mi ero occupato assieme ad Arcangelo Rociola):
Qualche giorno fa si è scoperta una rete di oltre duemila account fasulli che rilanciavano su Twitter lo stesso messaggio che ringraziava il governo per la restituzione delle case ai terremotati. Solo che il messaggio era finto e anche gli oltre duemila profili, con tanto di nomi, cognomi e fotografie rubate a chissà chi, erano finti. Possibile che una operazione di questo tipo facesse capo a una piccola società informatica romana? Perché lo avrebbe fatto? Chi c’è dietro?
Lo abbiamo chiesto alla polizia postale ma ci ha risposto: non ci riguarda, non è una fake news. Ok, sono fake account che tentano di influenzare l’opinione pubblica ingannandola. Allora però quali sono le notizie false da combattere? Se un politico dice che nessun Paese al mondo prevede dieci vaccini obbligatori come fa l’Italia e non è vero, sta spacciando una notizia falsa? E se dopo che glielo fai notare, la ribadisce, è recidivo?
E se una sindacalista dice che abbiamo l’età pensionabile più alta d’Europa e l’orario di lavoro più lungo – falso anche questo – va denunciata alla polizia? Magari assieme all’altro leader che sostiene che in Italia c’è il record di delitti, quando non sono mai stati così pochi? E con quello che proprio ieri ha detto che l’innovazione distrugge posti di lavoro mentre si registra il record storico di occupati in Italia, in Europa e negli Stati Uniti? Ovviamente no, per noi.
Il comunicato stampa modificato
Successivamente Arianna Ciccone, oltre ad aver messo sul tavolo della discussione molte criticità e preoccupazioni condivisibili in merito all’iniziativa istituzionale, aveva evidenziato le modifiche al comunicato stampa pubblicato sul sito della Polizia in seguito alle critiche ricevute. Riporto l’originale pubblicato il 18 gennaio evidenziato il rosso la versione iniziale e in blu quella nuova:
È riservato solo a chi è in grado di smentire una fake news con una segnalazione istantanea: si tratta del nuovo servizio dalla Polizia postale che ha lanciato il progetto “Red button”.
La novità è stata presentata oggi a Roma al Polo tuscolano della Polizia di Stato alla presenza del ministro dell’Interno Marco Minniti, del capo della Polizia Franco Gabrielli e del direttore delle specialità della Polizia di Stato Roberto Sgalla. (Foto)
Il “Red button” è collocato all’interno del sito internet www.commissariatodips.it e grazie ad esso il cittadino, giovandosi di un’interfaccia web semplice ed immediata, capace di guidarlo passo dopo passo nel più corretto utilizzo dell’applicazione, sarà in grado di comunicare alla Polizia l’esistenza di contenuti assimilabili a fake news.
Attivata la procedura, la Polizia aprirà un canale diretto di comunicazione con il segnalante al quale verranno date informazioni anche in merito a querele e indicazioni per i social network.
Attivata la procedura, la Polizia postale verificherà, per quanto possibile, l’informazione, con l’intento di indirizzare la successiva attività alle sole notizie manifestamente infondate o apertamente diffamatorie.
In particolare, verrà presa in carico da un team dedicato di esperti del Cnaipic (Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche) che, in tempo reale, 24 ore su 24, effettuerà approfondite analisi, attraverso l’impiego di tecniche e software specifici.La rapida acquisizione di informazioni in merito ad una fake news instaura anche un canale diretto con i gestori delle piattaforme virtuali e il conseguente oscuramento dei contenuti inappropriati e informazioni utili all’identificazione dell’autore della pubblicazione.
Da un’analisi effettuata di recente dalla Polizia postale e da esperti informatici è risultato che attualmente in commercio non esiste nessun sistema tecnologico in grado di individuare in maniera assoluta le notizie false e la loro veridicità è dimostrabile solo attraverso la valutazione di esperti di settore.
Il Progetto nasce per dare risposta alla recente sensibilità sviluppatasi attorno al fenomeno delle fake news, nell’ambito di un generale dibattito che sta coinvolgendo le istituzioni di diversi paesi e della stessa Unione Europea, oltre ai gestori delle principali piattaforme social a livello mondiale.
Grazie al “Red button” si limiterà, nell’interesse del singolo ma anche dell’intera comunità che usa i social, la diffusione di notizie false, ingiuriose o diffamatorie o che addirittura possono destare allarme sociale; in più si potrà arginare l’operato di quanti, al solo scopo di condizionare l’opinione pubblica, orientandone tendenziosamente il pensiero e le scelte, elaborano e rendono virali notizie destituite di ogni fondamento, relative a fatti od argomenti di pubblico interesse.
E qualora venga individuata con esattezza una fake news – sul sito del Commissariato di ps on line e sui canali social istituzionali verrà pubblicata una puntuale smentita.
Insomma, anziché spiegare e illustrare meglio la situazione si è preferito rimuovere alcuni riferimenti e in particolare quello relativo all’oscuramento dei contenuti inappropriati. Non è stata una bella mossa, ha aperto di fatto nuove critiche nei confronti della stessa Polizia minandone la credibilità di fronte ai cittadini e lettori.
L’oscuramento e la rimozione dei contenuti
Non viene spiegato in alcun modo quali siano questi contenuti e risulta estremamente interpretativo permettendo a chi legge di volare alto con la fantasia. Per cercare una sorta di interpretazione possiamo leggere con attenzione cosa riporta il protocollo:
Ove necessario, infine, la Polizia Postale, forte della professionalità acquisita nel corso degli anni, potrà fornire eventuale ausilio al cittadino destinatario della fake news, guidandolo nell’interlocuzione con le maggiori piattaforme social ed indirizzandolo nella proposizione di richieste di rimozione dei contenuti ritenuti lesivi, richieste le quali, in ogni caso, dovranno essere successivamente valutate dal singolo social network.
Si fornirebbe un ausilio al cittadino destinatario della “fake news” per la rimozione dei contenuti ritenuti lesivi. Non si dovrebbe parlare di “fake news“, ma piuttosto di contenuti diffamatori come quelli che hanno colpito persone come Alfredo Mascheroni (diventato per molti un pedofilo a causa di una falsa accusa diffusa tramite messaggi privati e post Facebook), come video o foto utilizzate per attività di cyberbullismo (un tema molto caro alla Polizia Postale).
La Polizia non ha alcun potere nel decidere la rimozione o l’oscuramento di un contenuto online. Esistono già procedimenti cautelari (disciplinati dagli articoli 669-bis e seguenti del codice di procedura civile), ma per avviarli c’è bisogno dell’ordinanza di un giudice in seguito a regolare denuncia da parte dei singoli cittadini coinvolti. Ci devono essere due presupposti, il periculum in mora e il fumus boni iuris:
Nel dettaglio, il periculum in mora è rappresentato dal rischio che la durata eccessiva del processo a cognizione piena cagioni un danno al soggetto interessato.
Il fumus boni iuris, invece, è rappresentato dalla probabilità che il diritto vantato da chi richiede il provvedimento esista in concreto.
Si tratta di un argomento molto discusso (1,2,3,4), non è affatto una novità ed è accaduto anche ai colleghi di Butac (solo dopo la richiesta di una Procura, non su iniziativa della Polizia).
Che senso ha segnalare certi contenuti attraverso il “Red Button“? Nel testo del protocollo che ho riportato in precedenza si evidenzia l’intenzione da parte della Polizia Postale di fornire un aiuto alla vittima dell’attività diffamatoria interloquendo con le piattaforme social dove il contenuto è stato diffuso, ma solo chi gestisce la piattaforma social può decidere se procedere o meno. Certo è che una segnalazione da parte della Polizia rispetto a quella del singolo cittadino potrebbe ottenere come risultato un effettivo controllo umano da parte del Social Network interpellato.
Cosa ha fatto la Postale fino ad oggi?
Nel “protocollo operativo” vengono citate le pagine Facebook “Polizia di Stato“, “Una vita da social” e “Agente Lisa“. Le attività svolte al loro interno sono di diverso tipo, alcune potrebbero essere ritenute “abbastanza semplici” o “molto evidenti” anche se spesso troppo sottovalutate (chi non conosce oppure non osserva con attenzione certe dinamiche che si sviluppano nel Web potrebbe sorprendersi, pensate che Burioni prima di approdare sui social non immaginava che potesse esistere una comunità così ampia e vivace che credeva al ciarlatano Wakefield, infatti lui viveva nella sua “bolla” scientifica universitaria e ha scoperto “cosa c’era fuori“).
Mentre la pagina “Polizia di Stato” riporta notizie e tutorial utili per comprendere l’operato delle forze dell’ordine, non si era occupata di bufale al contrario delle altre due. La pagina “Una vita da social” riporta soprattutto smentite già verificate riguardo fantomatiche Catene di Sant’Antonio (1,2,3,4), bufale (1,2,3,4) e truffe (1,2,3,4), contenuti che pubblicavano in seguito anche grazie all’operato di siti di factchecking o articoli di giornali che se ne erano occupati per primi.
In questo caso il “Red button” è un ulteriore strumento di segnalazione al di fuori dai canali social, infatti le pagine ricevevano già segnalazioni da parte degli utenti tramite i messaggi privati e commenti. Non solo, lo proverò a spiegare in seguito.
Nel protocollo si parla di raccolta di informazioni mediante la consultazione di fonti di pubblico accesso (OSINT) e di qualifica, con la massima certezza consentita, della notizia come “fake news” in seguito al riscontro di “smentite ufficiali” (che però a volte dovrebbero essere verificate), falsità del contenuto già comprovata da fonti obiettive (potrebbero riferirsi ad un sito di factchecking o ad un articolo di giornale ben scritto) o dalla provenienza da fonti non accreditate o certificate (un elemento che dovrebbe essere ben spiegato). Insomma, visto l’operato illustrato poco fa buona parte del lavoro si basa su fonti esterne alla stessa Polizia Postale per determinati argomenti, mentre per altri come truffe (phishing o simili) sono già di loro competenza.
Voglio ricordare il lavoro meritorio della Polizia Postale in merito al tema del cyberbullismo, che a mio parere va elogiato e spero che questa situazione non vada a ledere il lavoro compiuto e che continuerà senz’altro.
Conclusioni
Tenendo in considerazione il clima acceso che si è creato proprio sul tema “fake news” in vista delle elezioni, gli errori di comunicazione da parte della Polizia e del Ministro Minniti sopra riportati hanno di fatto “oscurato” la comprensione di certe attività già svolte e dell’utilità del “Red Button” creando comprensibilissimi preoccupazioni e levate di scudi.
La Polizia potrebbe continuare a comunicare e spiegare tramite i suoi canali social le eventuali bufale e truffe già verificate da esterni (siti di factchecking e articoli di giornale ben fondati) a scopo educativo così come ha fatto negli ultimi anni (un’attività per nulla segreta che fino ad oggi non era stata contestata) senza andare oltre visto il proprio ruolo. Il principio di separazione dei poteri deve essere mantenuto, dove il potere esecutivo (ricordo che il corpo di Polizia è alle dipendenze del Ministero dell’Interno e del Ministro Minniti) non deve ottenere quelli del potere giudiziario (la magistratura) e per il momento il potere legislativo (il Parlamento) non ha fornito alcuna indicazione affinché sia la Polizia a decidere cosa sia vero o falso (è bene tenere comunque alta la guardia su questo tema).
Concordo a pieno con la parte finale dell’intervento di Riccardo Luna e con le affermazioni del post di Arianna Ciccone:
Riccardo Luna: “Spetta ai giornalisti verificare i fatti e contestarli se serve con lo strumento del factchecking. E spetta ai lettori spargere la voce per far sì che se proprio non può vincere il migliore, vinca almeno il meno bugiardo“.
Arianna Ciccone: “E il contrasto alle false informazioni attraverso la corretta informazione (così come prevede questa iniziativa che parla di ‘viralizzazione della contronarrazione istituzionale’) non dovrebbe nella maniera più assoluta essere appannaggio della polizia“.
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